È difficile liberarsi da alcune abitudini, è difficile dopo tanti anni passati a fare le stesse cose autodistruttive, di cui ci si vergogna, smettere e guardare avanti.
Ma è possibile.
La mia discesa non so quando sia cominciata, potrebbe essere cominciata quando da piccola mangiavo in piatti separati per non far mescolare gli alimenti, potrebbe essere cominciata quando in un momento non ben precisato della mia adolescenza ho iniziato a scambiare cibo per gratificazione che non riuscivo a cogliere dall’ambiente circostante.
Provare a fare da soli non è la risposta e ho dovuto sbatterci la testa più e più volte, passando da portare pantaloni da uomo per mancanza di taglie femminili abbastanza grandi oppure nascondendomi in felpe più grandi della mia taglia fino a cercare di saltare pasti, distruggersi in palestra e perdere nella maniera più sbagliata i chili possibile.
Un effetto yo-yo disastroso in cui, sembra impossibile, non riuscire a vedersi davvero diversa, davvero “come ti vorresti” (anche quando in realtà hai perso dieci chili).
Perché tanto in pochi/e abbiamo davvero un’idea realizzabile di come ci vorremmo, a causa di modelli di bellezza artificiali, una bassa autostima e poco amore di sè.
Sono arrivata a compensare con metodi poco ortodossi, sia con abbuffate dovute alla mia emotività o alle troppe restrizioni, sia serate in pizzeria tutto sommato normalissime.
Lo specchio era il mio più grande nemico, potevo passare ore a cambiare ogni abito che avevo senza riuscire nemmeno a dirmi “ok, così stai bene”.
Vedersi come attraverso un paio di lenti che dipendono esclusivamente dal tuo umore è disarmante, sei il tuo nemico, e non hai gli strumenti, nè tantomeno la forza, di stare lì a guardarti davvero, a tentare di capire cos’è che ti spinge a dare un giudizio orribile a te stessa, mentre gli altri sembrano tutti più belli, più capaci o comunque migliori di te.
Come ci si arriva? Senza accorgersene veramente, va solo sempre peggio e quando te ne accorgi devi “solo” avere la forza di non aver paura di sembrare debole o di aprire i cassetti ben chiusi che ti hanno fatto arrivare a quel preciso momento in cui ti chiedi “ma cosa sto facendo?”
A tutti capita di passare attraverso i commenti sprezzanti di chi ti sta vicino riguardo alla tua forma o paragoni con di altri, di passare attraverso delusioni emotive di ogni genere...e chi di noi è più sensibile continua a nutrire una sorta di mostro che si fa sempre più grande.
Fortunatamente quella non è la fine ed io devo ringraziare infinitamente la mia terapista Maria e la mia dietista Erica che mi hanno insegnato e guidato per il percorso verso l’uscita, dandomi armi per proteggermi dai miei stessi giudizi e dai miei stessi sabotaggi.
Ad un anno dalla fine della terapia e a pochi mesi dalla fine del percorso con Erica non posso fare a meno di sentirmi fiera del cammino anche se a tratti le cose possono farsi più scure del solito e può sembrare di fare un balzo indietro.
Non è vero.
Sto ancora andando avanti pur sempre tenendo in mente che le mie debolezze non possono essere completamente estirpate ma si possono comunque tenere a bada ripetendosi “io non sono il mio problema” o “quello che vedo non è come sembra a me in questo momento” ogni volta che guardandomi allo specchio mi trovo peggio del giorno prima o che capita di pensare “vorrei essere più così o più cosà”....un pò come se le lenti di cui parlavo prima fossero sempre lì pronte a mettersi davanti ai miei occhi per farmi vedere non come sono davvero, ma come mi sento.
I consigli di Erica sono stati indispensabili per imparare di nuovo a mangiare ed a apprezzare il cibo per quello che è, senza trasformarlo in un’arma di autodistruzione.
Adesso posso andare in santa pace a cena fuori senza sentire bisbiglii all’orecchio che mi fanno il conto delle calorie e mi fanno il piano su come compensare ed è una libertà incredibile.
Il miglioramento non nascondo che porta anche a rivelazioni a volte dolorose, ma quello che porta di positivo è inestimabile.